Non c’è raccolta delle olive senza una storia da raccontare…
La mia inizia assai poco tempo fa rispetto a molte altre storie. Parla di una ragazza cresciuta in campagna, un po’ invidiosa della città, che voleva mettere in tasca due soldi prima di partire per le sue prime vacanze al mare con gli amici. E di un papà che le disse che quei soldi se li sarebbe dovuti guadagnare lavorando tra gli ulivi e nel vigneto, proprio come molti altri avevano fatto prima di lei.
Un mattino d’inizio estate la ragazza si svegliò presto e raggiunse gli operai dell’azienda del padre che alle 7.30 cominciavano a lavorare, li salutò mentre questi partivano in direzione delle vigne e si avviò tutta sola verso l’uliveto, armata di guanti e seghetto. Nei giorni precedenti aveva imparato velocemente i rudimenti della spollonatura, ora la attendevano 300 piante da spollonare e svariate ore da trascorrere da sola nel poggio degli ulivi.
II primo giorno avvertì una grande solitudine ed un grandissimo senso d’impotenza, interrotti soltanto dal grande spavento per un serpente che aveva trovato la propria casa tra le radici e il tronco cavo di una pianta. Pian piano però la ragazza cominciò ad apprezzare la serenità ed il silenzio di quel poggio: il vento che accarezzava le chiome dai mille riflessi argentati, la calma e la rilassatezza di quel luogo, il tronco rugoso dell’ulivo che spesso le capitava di accarezzare ad occhi chiusi. A poco a poco quelle piante diventavano sempre più familiari, i fruscii smisero di spaventarla e cominciò ad apprezzare l’occasione che il padre le aveva dato: la soddisfazione di ripulire una pianta centenaria era impagabile, giorno dopo giorno si stava facendo i muscoli e stava anche diventando veloce nel lavoro!
Quella terra grigia e crettata dell’uliveto assumeva giorno dopo giorno un nuovo significato: sapeva di crescita, di fatiche, di piccolissimi successi coltivati giorno dopo giorno. Le ombre che i tronchi nodosi di ulivo proiettavano all’avvicinarsi del tramonto assomigliavano sempre più a quelle piccole paure che giorno dopo giorno apparivano sempre più insignificanti e lontane.
Questa storia, come avrete capito, è la mia storia. Sembra tanto lontana nel tempo ma se chiudo gli occhi riesco ancora a vedermi là, nell’uliveto, immersa nel silenzio tra le chiome color argento ed il sole ad illuminare i tronchi nodosi. La storia di cosa riuscì ad insegnarmi quel lavoro, quell’estate. Ma anche di cosa l’ulivo riuscì a trasmettermi. Qualoca che porterò dentro sempre.
Piano piano riuscii a finire la spollonatura: ci volle anche meno tempo di quanto inizialmente mio padre aveva previsto. Presi il mio compenso e partii per le vacanze. Poi tornò l’autunno, passò la vendemmia e venne il tempo della raccolta delle olive: non poteva prendervi parte perchè dovevo andare a scuola ma immaginatevi che soddisfazione quando la sera, con la famiglia riunita attorno alla tavola imbandita di bruschette e verdure, assaggiai per prima l’olio che era risultato dalla frangitura. Ehi anche io avevo contribuito per una piccola parte al risultato: che grandissima soddisfazione! Me lo ricordo tutt’ora come il pinzimonio più buono della mia vita!
Ora che abito lontano da quel poggio riesco a capire il valore di ciò che m’insegnò quel primo lavoro, quando dapprima gli olivi mi apparvero come piante sconosciute, austere e complesse. Quando non avrei voluto avvicinarmi a loro se non con timore e insicurezza. A distanza di anni riesco a percepire cosa e quanto queste piante silenziose, immobili e mistiche nella loro forma mi insegnarono: la dedizione, il duro lavoro, la solitudine anticamera della serenità, l’utilizzo dei sensi quando non puoi appellarti a qualcuno più esperto di te ma soprattutto la tenacia.
Tenacia. É esattamente una parola perfetta per descrivere l’ulivo…
Carlotta Andrea Buracchi